Napoli. Regista, scrittrice, sceneggiatrice, scultrice e adesso – per un ristretto ma variegato e interessato pubblico – anche attrice. Federica Tuzi, l’autrice di Non ci lasceremo mai, romanzo edito da Lantana nel gennaio 2011, presenta la sua prima opera letteraria – coadiuvata dalla cantante Anna Clementi – attraverso una performance-reading. Il tutto nell’inusuale cornice del Chiaja Hotel de Charme scelta da Claudio Finelli in occasione della seconda edizione del Ciclo di letture poetiche infuse di teina Poetè.
In assenza di un reale palcoscenico, del buio e di un riflettore, le due interpreti si appellano, riuscendoci, alle loro immagini e alle loro voci. Vestite di tutto punto e in modo identico: camicia nera avvitata, pantaloni neri svasati, scarpe da ginnastica, capelli cortissimi; l’una alter ego dell’altra. Il loro desiderio di fondere i propri corpi – per restituire un’immagine armonica e unitaria – si dischiude, grazie alla lettura, in due voci che si accavallano, alternano, confondono e congiungono.
Federica Tuzi interpreta le sue parole, profondamente intrise di materia autobiografica, con una voce morbida, calda, mai dissonante. L’intonazione cambia di volta in volta adeguandosi al registro del racconto; intonazione mai tradita dall’espressività degli occhi, della bocca, del viso. Un volto triste, divertito, sconcertato, che rivive nelle parole quel lungo viaggio iniziatico alla scoperta del proprio sé.
Nello stesso tempo, Anna Clementi, con la sua voce, correda la narrazione di suoni, rumori, canti, ripetizioni, anticipazioni. La voce della Clementi è “l’eco” della storia di Alessandra – la protagonista del romanzo - i cui tormenti, stupore e scoperte sono magnificamente evocati dal viso-maschera dell’interprete con sonorità che rimandano ai baci, al pianto, ai brividi. La reiterazione ossessiva di alcune parole – resa con una voce prima bassa, poi sempre più altisonante, a tratti stridula – comunica, con immediatezza, il senso di inadeguatezza della protagonista. Il suo canto, fatto di melodie pop o di ninnananne, anticipa allo spettatore diverse ambientazioni e molteplici luoghi.
Nel contesto tracciato, il reading diventa performance grazie a un solo e unico gesto. Un gesto inaspettato, ribelle e pur sempre delicato; un’azione che definisce il mancante spazio scenico, creando tuttavia anche una scrittura scenica. Le due protagoniste, infatti, leggono il romanzo tenendo tra le mani dei semplici fogli bianchi e al termine di ogni pagina gettano via il foglio, lasciandolo cadere a terra, talvolta in modo sincronico, altre in maniera sfalsata. Questo semplice gesto, fatto con nonchalance, riempie il borghese pavimento del salottino dell’hotel. Quest’unico gesto rappresenta il culmine dell’atto performativo. Un gesto che manca a sé stesso e che in questa mancanza incontra la perfettibilità.